Valentina Imperiu
La
libanese
Il mio
nome è Layla, nata sunnita a Beirut.
Mangiavo
nuvole e colori.
Sabbia
rossa tra le mani e piccole conchiglie di sale e felicità
i miei
giochi.
Fino a
quel giorno...
1982.
La
morte si è chinata sui miei fratelli e li ha fatti a pezzi.
Mia
madre, in ginocchio a raccoglierne i resti,
urlava
il suo pianto per le strade.
Nessuna
parola poté più fiorire nella piccola bocca,
solo
il seme metallico della paura.
La
follia dell'uomo ha sfregiato i nostri volti e
l’ieri
si è schiantato al suolo col fragore delle bombe.
1983.
Ho 8
anni e nell'anima strappata l'orrore di Damur e di Sabra e Shatila
mi
vortica nel sangue come un veleno.
I miei
si sono fatti esplodere di rabbia e sono rimasta sola.
L'istituto,
in cui intrecciavo i capelli coi nastri sbiaditi dei ricordi,
era
grigio e mannaro.
Sotto
il cuscino sogni ad occhi aperti, che non stingevano all'alba.
Ho 14
anni, parlano di Repubblica Libanese.
Il
sole dovrebbe sorgermi dentro, ma la saggezza del cedro non m’illude
e già
so che sarà ancora inverno
con
qualche goccia di sole sulla neve stanca.
Mi
chiamo Layla e sono scura,
come
la notte della mia terra.
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