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martedì 9 giugno 2015

La libanese (di Valentina Imperiu)


Valentina Imperiu

La libanese

Il mio nome è Layla, nata sunnita a Beirut.
Mangiavo nuvole e colori.
Sabbia rossa tra le mani e piccole conchiglie di sale e felicità
i miei giochi.
Fino a quel giorno...
1982.
La morte si è chinata sui miei fratelli e li ha fatti a pezzi.
Mia madre, in ginocchio a raccoglierne i resti,
urlava il suo pianto per le strade.
Nessuna parola poté più fiorire nella piccola bocca,
solo il seme metallico della paura.
La follia dell'uomo ha sfregiato i nostri volti e
l’ieri si è schiantato al suolo col fragore delle bombe.
1983.
Ho 8 anni e nell'anima strappata l'orrore di Damur e di Sabra e Shatila
mi vortica nel sangue come un veleno.
I miei si sono fatti esplodere di rabbia e sono rimasta sola.
L'istituto, in cui intrecciavo i capelli coi nastri sbiaditi dei ricordi,
era grigio e mannaro.
Sotto il cuscino sogni ad occhi aperti, che non stingevano all'alba.
Ho 14 anni, parlano di Repubblica Libanese.
Il sole dovrebbe sorgermi dentro, ma la saggezza del cedro non m’illude
e già so che sarà ancora inverno
con qualche goccia di sole sulla neve stanca.
Mi chiamo Layla e sono scura,
come la notte della mia terra.




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