Rosetta Sacchi
Sono nata il 20 maggio 1962, a Palata (CB) un
paese collinare, oggi con densità di popolazione sempre più in diminuzione. Qui
vivo, lavoro, mi interrogo, penso, scrivo.
La poesia mi ha affascinata sin
dall’adolescenza, fase in cui c’è che scrive diari, chi pensieri, chi poesie.
E pensavo la poesia fosse un
interesse legato a quella fase.
Ho partecipato tra gli anni
ottanta e novanta a vari concorsi nazionali ed internazionali con buoni
risultati. Ho aderito a varie antologie legate ai concorsi stessi e non. Non li
elenco e non li nomino. Non è importante.
Più che scrivere una biografia, voglio
raccontarmi.
I versi, innumerevoli, che ho scritto nel
passato, li ho distrutti, quasi tutti, in coincidenza con una fase della mia
vita, di vera crisi esistenziale. Non mi piacevano più, non mi riconoscevo in
essi, non mi dicevano niente. E soprattutto avevo maturato la decisione di non
scrivere più poesie e di rinnegare il mondo letterario. Non ero più capace di
scrivere, sconvolta, turbata da eventi della mia vita personale, dalla
grettezza del mondo del lavoro, delusa dai rapporti interpersonali, amareggiata
dalla vita.
Sono stati i tempi del
sopravvivere e non del vivere, durante i quali si sono susseguiti tanti eventi,
molti dolorosi.
Fondamentalmente pessimista,
gradualmente , sono arrivata al realismo.
Poi, di colpo, uno stato di
grazia, un miracolo, una mano invisibile, una specie di illuminazione, non so
come definirlo, fatto sta che al culmine di un episodio che mi ha provocato una
grande sofferenza interiore, d’improvviso ho ripreso a scrivere, verso la fine
dell’anno 2010. Ed in quel caso, si, la poesia è stata liberazione dal tormento, dall’ansia, dal dolore, dal
negativismo, un volo verso la libertà, la libertà di tornare a vivere le mie
emozioni, sensazioni, il mio sentire in tutta la sua interezza.
Dal 2011 ad oggi ho scritto oltre
seicento poesie e non credo di smettere, né voglio farlo, perché ora la poesia
è in me ed io sono in lei, perché ora la poesia è per me, oltre a tante altre
cose, anche un rimedio al male di vivere.
Intervista
E’ la
domanda più complessa per un poeta quindi la propongo per prima: cosa significa
poesia per te?
Non si può spiegare
cosa significa la poesia. Non in maniera completa. La poesia è in me, non so in
quale parte, se nel cuore o nella mente o sotto pelle, negli occhi. Non
so, è linfa che ti corre dentro, che
t’attraversa, è essenza che nutre i
pensieri, è realtà e sogno nello stesso tempo. E’ intima amica che si sveglia e
s’addormenta con te e t’ accompagna nelle avventure e disavventure quotidiane,
è passione e entusiasmo, di quelli che ti stimolano a vivere, non a
sopravvivere. Perché sopravvivere lo fanno in molti, quasi tutti. Noi invece
dobbiamo imparare a vivere. La poesia è l’input, la pausa, il sottofondo, la
voce interna, l’oasi, il progetto, il desiderio, il sogno, è amore. Amore per
se stessi, per le cose, per la natura, per gli altri, per l’altro, per la
quotidianità, per l’universo, per la vita stessa.
Cosa ti
muove a scrivere poesia?
E’ un fremito che sento
dentro, è come un fuoco che divampa all’improvviso, è qualcosa di prorompente
che m’invade e che vuole emergere fuori di me verso il mondo esterno. Non devi
avere tempo o metterti d’impegno o concentrarti per fare poesia. All’improvviso
un pensiero, un ricordo, un’immagine che solo i miei occhi vedono, un profumo,
un qualsiasi avvenimento nella strada,
mi forniscono la motivazione a scrivere. E devo farlo in quell’istante,
non è possibile rimandare quella “spinta
interiore” ad un momento successivo. E’ come una boccata di ossigeno, poi dici
a te stesso, ora posso iniziare a lavorare, ora posso affrontare la giornata.
Non è una specie di istinto che muove e spinge verso un conseguente senso di liberazione. E’ un
bisogno che lievita dentro, un bisogno di libertà dalla normalità e dalla
quotidianità.
Qual è la
funzione del poeta, della poesia oggi?
Il poeta è una figura
fuori del tempo. Se tra la gente di governo o in ogni ambiente di lavoro, tra
chi “comanda”, tra gli insegnanti, ci fossero più poeti e si desse più ascolto alla poesia, il mondo sarebbe migliore,
l’influenza che ne deriverebbe porterebbe a stabilire delle regole diverse, che
terrebbero conto dell’individualità umana, e a dei risultati diversi. Il poeta
viene visto come facente parte di una categoria a sé, uno che scrive “cosucole”
che servono a poco o niente, uno che sogna e non sa stare con i piedi per
terra, anacronistico per i tempi
moderni, ignorando il fatto che è dotato di una sensibilità particolare e,
perciò, capace di interpretare stati d’animo ed emozioni che sono di tutti, ma
che molti volutamente sospendono come in una specie di limbo, dando priorità ad
altre cose.
Oggi, quindi, la figura
del poeta è ancora più importante, in questi tempi di crisi politica ed
economica, di crisi dei valori in genere, la funzione del poeta è come dire
“illuministica”.
Un paio
di aggettivi per descriverti e farti conoscere al pubblico.
Tenace ed estremamente
passionale.
Parlaci
di una tua poesia o di un tuo libro se lo hai pubblicato.
Non ho mai pubblicato
un libro, mi sarebbe piaciuto, ci ho pensato più di una volta a ho abbandonato
l’impresa prima di iniziarla. C’è un terzo aggettivo che mi si addice ed è
pigra.
Una poesia che ho
pubblicata e a cui sono legata è: TU COSA SAI DI ME, ispirata alla lettura di
Oscar Wilde. Cosa dire? Menziono solo alcuni versi
Tu cosa sai di me
Io solo posso
giudicarmi
Io so delle spine
Che ho nel cuore
E so del cielo cupo
Senza arcobaleno
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