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venerdì 10 ottobre 2014

Rosetta Sacchi


Rosetta Sacchi

Sono nata il 20 maggio 1962, a Palata (CB) un paese collinare, oggi con densità di popolazione sempre più in diminuzione. Qui vivo, lavoro, mi interrogo, penso, scrivo.
La poesia mi ha affascinata sin dall’adolescenza, fase in cui c’è che scrive diari, chi pensieri, chi poesie.
E pensavo la poesia fosse un interesse legato a quella fase.
Ho partecipato tra gli anni ottanta e novanta a vari concorsi nazionali ed internazionali con buoni risultati. Ho aderito a varie antologie legate ai concorsi stessi e non. Non li elenco e non  li nomino. Non è importante.
Più che scrivere una biografia, voglio raccontarmi.
 I versi, innumerevoli, che ho scritto nel passato, li ho distrutti, quasi tutti, in coincidenza con una fase della mia vita, di vera crisi esistenziale. Non mi piacevano più, non mi riconoscevo in essi, non mi dicevano niente. E soprattutto avevo maturato la decisione di non scrivere più poesie e di rinnegare il mondo letterario. Non ero più capace di scrivere, sconvolta, turbata da eventi della mia vita personale, dalla grettezza del mondo del lavoro, delusa dai rapporti interpersonali, amareggiata dalla vita.
Sono stati i tempi del sopravvivere e non del vivere, durante i quali si sono susseguiti tanti eventi, molti dolorosi.
Fondamentalmente pessimista, gradualmente , sono arrivata al realismo.
Poi, di colpo, uno stato di grazia, un miracolo, una mano invisibile, una specie di illuminazione, non so come definirlo, fatto sta che al culmine di un episodio che mi ha provocato una grande sofferenza interiore, d’improvviso ho ripreso a scrivere, verso la fine dell’anno 2010. Ed in quel caso, si, la poesia è stata liberazione  dal tormento, dall’ansia, dal dolore, dal negativismo, un volo verso la libertà, la libertà di tornare a vivere le mie emozioni, sensazioni, il mio sentire in tutta la sua interezza.
Dal 2011 ad oggi ho scritto oltre seicento poesie e non credo di smettere, né voglio farlo, perché ora la poesia è in me ed io sono in lei, perché ora la poesia è per me, oltre a tante altre cose, anche un rimedio al male di vivere.

Intervista
E’ la domanda più complessa per un poeta quindi la propongo per prima: cosa significa poesia per te?
Non si può spiegare cosa significa la poesia. Non in maniera completa. La poesia è in me, non so in quale parte, se nel cuore o nella mente o sotto pelle, negli occhi. Non so,  è linfa che ti corre dentro, che t’attraversa,  è essenza che nutre i pensieri, è realtà e sogno nello stesso tempo. E’ intima amica che si sveglia e s’addormenta con te e t’ accompagna nelle avventure e disavventure quotidiane, è passione e entusiasmo, di quelli che ti stimolano a vivere, non a sopravvivere. Perché sopravvivere lo fanno in molti, quasi tutti. Noi invece dobbiamo imparare a vivere. La poesia è l’input, la pausa, il sottofondo, la voce interna, l’oasi, il progetto, il desiderio, il sogno, è amore. Amore per se stessi, per le cose, per la natura, per gli altri, per l’altro, per la quotidianità, per l’universo, per la vita stessa.

Cosa ti muove a scrivere poesia?     
E’ un fremito che sento dentro, è come un fuoco che divampa all’improvviso, è qualcosa di prorompente che m’invade e che vuole emergere fuori di me verso il mondo esterno. Non devi avere tempo o metterti d’impegno o concentrarti per fare poesia. All’improvviso un pensiero, un ricordo, un’immagine che solo i miei occhi vedono, un profumo, un qualsiasi avvenimento nella strada,  mi forniscono la motivazione a scrivere. E devo farlo in quell’istante, non è possibile rimandare  quella “spinta interiore” ad un momento successivo. E’ come una boccata di ossigeno, poi dici a te stesso, ora posso iniziare a lavorare, ora posso affrontare la giornata. Non è una specie di istinto che muove e spinge verso  un conseguente senso di liberazione. E’ un bisogno che lievita dentro, un bisogno di libertà dalla normalità e dalla quotidianità.

Qual è la funzione del poeta, della poesia oggi?
Il poeta è una figura fuori del tempo. Se tra la gente di governo o in ogni ambiente di lavoro, tra chi “comanda”, tra gli insegnanti, ci fossero più poeti e si desse più ascolto  alla poesia, il mondo sarebbe migliore, l’influenza che ne deriverebbe porterebbe a stabilire delle regole diverse, che terrebbero conto dell’individualità umana, e a dei risultati diversi. Il poeta viene visto come facente parte di una categoria a sé, uno che scrive “cosucole” che servono a poco o niente, uno che sogna e non sa stare con i piedi per terra,  anacronistico per i tempi moderni, ignorando il fatto che è dotato di una sensibilità particolare e, perciò, capace di interpretare stati d’animo ed emozioni che sono di tutti, ma che molti volutamente sospendono come in una specie di limbo, dando priorità ad altre cose. 
Oggi, quindi, la figura del poeta è ancora più importante, in questi tempi di crisi politica ed economica, di crisi dei valori in genere, la funzione del poeta è come dire “illuministica”.

Un paio di aggettivi per descriverti e farti conoscere al pubblico.
Tenace ed estremamente passionale.

Parlaci di una tua poesia o di un tuo libro se lo hai pubblicato.
Non ho mai pubblicato un libro, mi sarebbe piaciuto, ci ho pensato più di una volta a ho abbandonato l’impresa prima di iniziarla. C’è un terzo aggettivo che mi si addice ed è pigra.
Una poesia che ho pubblicata e a cui sono legata è: TU COSA SAI DI ME, ispirata alla lettura di Oscar Wilde. Cosa dire? Menziono solo alcuni versi

Tu cosa sai di me
Io solo posso giudicarmi
Io so delle spine
Che ho nel cuore
E so del cielo cupo

Senza arcobaleno

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